
L'abbraccio tra Francesco e Cristiano Valanzano nel 2016 - LB
«Santo Padre, le abbiamo portato queste dodicimila ostie perché le consacri. Sono state prodotte con le nostre mani un tempo sporche di sangue, le consegniamo nelle vostre mani benedette...». Era l’aprile del 2016 e in piazza San Pietro il giovane Cristiano Valanzano, 29 anni, detenuto nel carcere di Opera per omicidio e condannato a 23 anni, di cui dieci già scontati, guardava incantato il Papa vestito di bianco, senza riuscire ad aprire bocca. «A dirgli quelle parole erano solo i miei due amici Ciro e Giuseppe, due ergastolani arrivati con me. Davanti a 50mila persone, il Papa dava tutta la sua attenzione a noi tre che ci eravamo macchiati dei crimini più orrendi, alla fine ci strinse uno per uno in un forte abbraccio. In quel momento ho avuto la certezza che Dio mi aveva perdonato».
Cristiano Valanzano oggi ha 38 anni e continua a scontare la sua pena, anche se da ottobre ha lasciato il carcere ed è in affidamento ai servizi sociali, «vuol dire che di giorno vado a lavorare e la sera non rientro in carcere ma a casa, dove devo restare chiuso dalle 22 fino alle 8 del mattino». Una pena che durerà ancora quattro anni, poi il debito con la giustizia sarà saldato.
Con la giustizia. Ma con la sua coscienza?
Oggi io ho 38 anni, esattamente l’età della persona che a causa mia e di altri due ragazzi che erano con me ha perso la vita. Allora avevo vent’anni e un lavoro, non mi mancava niente, ma avevamo voluto fare la “bravata”, tentare una rapina. Purtroppo non si torna indietro, basta un attimo perché la bravata diventi tragedia. Per anni non ero consapevole della mia colpa, mi sentivo arrabbiato, io non avevo mirato per uccidere e invece avevo ucciso. Ero cresciuto in una famiglia credente, poi mi ero allontanato dalla chiesa ed è successo quel che è successo. Il carcere mi stava peggiorando, diventavo sempre più cattivo, meditavo pensieri negativi, fin quando la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti non mi ha proposto il progetto delle ostie, “Il senso del pane”, e ho cominciato a vivere con la volontà di migliorarmi. Io non mi sono mai assolto, ma sapevo che non ero una persona cattiva e che anche Dio in cuor suo lo sapeva, questo mi dava forza. Nel Natale del 2015 noi detenuti abbiamo scritto una lettera a Francesco raccontandogli delle ostie che producevamo per regalarle alle parrocchie di tutto il mondo: il sogno era di portarle a lui da benedire, ma mai avrei pensato che pochi mesi dopo sarebbe successo davvero. Il Papa è il vicario di Cristo in terra e io me lo trovavo davanti, con un sorriso colmo di tenerezza e gli occhi attenti a quello che gli dicevamo.
Come eravate arrivati a Roma dal carcere milanese?
A bordo della camionetta della Polizia penitenziaria, chiusi in tre gabbie distinte. La notte siamo andati a dormire ospiti... all’hotel Rebibbia, il carcere romano. La mattina presto, scortati dagli agenti e accompagnati dal direttore di Opera, Giacinto Siciliano, ci siamo trovati tra le braccia di Francesco e in quel momento si è sciolto il nodo che mi portavo dentro da anni, stavo constatando la forza di quel perdono che chiedevo tutti i giorni nelle mie preghiere. Ricordo lo stupore quando mi ha abbracciato, non mi aspettavo tanto.
Lei insiste sul fatto che quelle ostie erano prodotte a mano, perché?
Una volta consacrate, sarebbero diventate il corpo di Cristo, e proprio quelle nostre mani insanguinate avrebbero fatto arrivare il frutto della nostra redenzione ai cuori delle persone. Magari anche a quelle persone la cui sofferenza avevamo causato noi con il nostro crimine. A Francesco esprimemmo un grande desiderio: che un giorno insieme a tutte le parrocchie che avevano le nostre ostie celebrasse una grande Messa planetaria, portando il “nostro” Gesù in ogni angolo della terra.
Lo ha più rivisto?
Tornammo da lui nel 2022, la cosa incredibile è che si ricordava bene di noi. Più volte ci ha ringraziati pubblicamente, anche all’Angelus.
Oggi chi è Cristiano Valanzano?
Lavoro per la Fondazione Arché di padre Giuseppe Bettoni, una comunità per mamme con bambini, il primo anno mi hanno assunto come cuoco, adesso sono il factotum, sono custode, faccio le riparazioni, mi occupo della manutenzione. Lì ho conosciuto un’educatrice che è la mia attuale fidanzata, il nostro desiderio è sposarci e avere una famiglia. Ma resto consapevole di aver tolto la vita a un innocente, non passa giorno che io non preghi per lui. Soprattutto oggi che ho l’età che aveva quando lo abbiamo ucciso.
Pensa mai di contattare i suoi cari?
No, perché è un passo che ho già provato in passato e non si è aperto alcuno spiraglio. Mi metto nei loro panni, non è facile perdonare chi ti ha tolto un figlio, come posso pretenderlo? Io lo so bene, l’ho vissuto con mia madre quando mio fratello è morto ammazzato anche lui. Avevo 10 anni quando successe, lui ne aveva 22. Anche lui morto durante una rapina...
Era il rapinato o il rapinatore?
Il rapinatore, ma per una mamma che perde il figlio il dolore non cambia. Avendo vissuto il dramma in casa mia, mi sono sempre messo nei panni della madre della mia vittima, in carcere mi faceva male pensare che nel mondo ci fosse una famiglia che provava per me sentimenti di vendetta... In realtà non so se fosse così, ma io allora pensavo che, a parti invertite, avrei voluto solo vendicarmi.
La fede ha cambiato i suoi sentimenti?
Radicalmente. Pian piano ho capito tante cose, soprattutto il senso del perdono. È proprio vero che Gesù non abbandona nessuno, basta cercarlo con il cuore e io ne sono la prova vivente. Se sono riuscito io a rialzarmi lo possono fare tutti, l’importante però è averne la volontà, perché il carcere non migliora nessuno ed è un miracolo trovare chi ti tende la mano, ma poi non basta nemmeno questo: se non vuoi alzarti tu per primo, non c’è nulla da fare e la speranza è la prima a morire. Io in carcere ero ribelle, mi sentivo vittima della sfortuna, la perizia balistica aveva accertato che il proiettile sparato non mirava alla persona, era rimbalzato nell’ingranaggio del finestrino ed aveva deviato fino a uccidere... Ma resta il fatto che è morto un uomo e la pistola l’avevo io. Non ho mai detto “mi è partito il colpo senza volere”, no, è partito perché volontariamente ho sparato.
Come ha reagito alla morte di Francesco?
Già i giorni scorsi in televisione l’ho visto così sofferente che mi ero preparato psicologicamente, ma non si è mai pronti. Per me papa Francesco era già un santo prima, rimarrà presente nella mia coscienza, non potrò mai deluderlo.