martedì 3 giugno 2025
Nell'attuale Parco del Pollino i resti umani rinvenuti in una grotta mostrano che la comunità non abbandonava i suoi membri più fragili
Incisioni rupestri nella Grotta del Romito

Incisioni rupestri nella Grotta del Romito - WikiMedia

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Comprendere la disabilità attraverso la storia dell’idea che, nel tempo, se ne è diffusa nella società. Un percorso che ci aiuta a fare Vittorio A. Sironi, storico della medicina e studioso della relazione tra cultura e salute. Dopo i temi del linguaggio e della riabilitazione, la terza puntata ci porta nel mondo antico.

La convinzione che nell’antichità non ci si prendesse cura delle persone con disabilità è un’idea non corretta, perché accanto a evidenze esplicite inerenti il rifiuto di questi individui, esistono oggi anche numerose testimonianze che attestano invece come diverse comunità dei nostri antenati si prendessero cura delle persone con disabilità.

Recenti scoperte archeologiche hanno fornito dati incontrovertibili che testimoniano la presenza di un atteggiamento di attenzione nei confronti delle persone con disabilità, mostrando l’esistenza di pratiche di vera inclusione sociale. Come accade a un nostro lontanissimo antenato di più di 12mila anni fa, trovato sepolto nella Grotta del Romito in quello che oggi è il Parco nazionale del Pollino, in Calabria, la cui vicenda esistenziale è stata magistralmente ricostruita. Gli archeologi hanno messo in luce come questo cacciatore (tale era infatti il suo ruolo nella comunità di appartenenza), probabilmente a causa di una brutta caduta, aveva riportato la paralisi del braccio e della gamba sinistra.

Come cacciatore era finito. Non morì, sopravvisse, e non fu abbandonato al suo destino. In quel sistema economico basato sulla caccia, nel quale la forza e l’abilità fisica erano requisiti indispensabili, la comunità seppe prendersi cura di lui e assegnargli un ruolo che lo rendesse di aiuto per gli altri membri. I reperti ossei del suo scheletro testimoniano come egli non potesse muoversi agevolmente e rimanesse a lungo accovacciato, ma i suoi denti, che mostrano profondi segni di usura, fanno supporre che li usasse per masticare materiale (legno tenero o canniccio) da fornire agli altri membri della comunità che li utilizzavano per costruire cestini o stuoie. Un primo caso di “diversamente abile” che, sopravvissuto grazie a chi lo assisteva in una società dove vi era un’autentica solidarietà pienamente umana, aveva saputo ritagliarsi uno spazio sociale per rendersi utile a tutta la comunità che l’aveva accolto.

Una capacità di condivisione con le persone disabili testimoniata anche da un’altra sepoltura trovata nello stesso sito archeologico: quella di un uomo affetto da nanismo e di una donna (la madre o la moglie), sepolti insieme, supini, accostati, con la testa di lui che poggia sulla spalla di lei che lo cinge con il braccio sinistro in un ultimo gesto d’affetto.

Certo, è risaputa la pratica dell’abbandono dei neonati deformi sui contrafforti del monte Taigeto nella greca Sparta. Una procedura a lungo considerata come emblematica della considerazione in cui era tenuta nel mondo antico la disabilità. Un’abitudine presente probabilmente anche nella stessa Atene e a Roma. Chi nasceva con difetti fisici evidenti o chi, nel corso della vita, andava incontro a menomazioni fisiche o a disturbi mentali veniva considerato anormale, diverso, praticamente “inutile” e come tale estromesso, emarginato, “scartato”, spesso appunto eliminato fisicamente da una società dov’era indispensabile requisito per la sopravvivenza individuale e per l’equilibrio sociale essere normali, cioè possedere l’integrità fisica e mentale, essere attivi e utili.

È documentato però che in Atene alle persone invalide che non erano in grado di lavorare era erogato un sussidio economico pubblico, che era un aiuto concreto per la vita di ogni giorno e che evitava loro lo stato di indigenza. Una pratica di “inclusione sociale” verosimilmente presente anche in altre città greche e romane.

Anche se sono documentabili, in queste realtà sociali meno rigide, atteggiamenti differenti rispetto all’esclusione sociale delle persone disabili, nell’antichità il rifiuto della disabilità era comunque frequente.

Occorreranno molti secoli e servirà un cambio radicale di mentalità perché dal regime di eliminazione, di abbandono e di segregazione dei disabili si passi a una visione di percezione consapevole delle menomazioni fisiche, premessa all’accettazione e all’assistenza delle persone con disabilità. Arrivare al superamento dello stigma discriminatorio nei confronti di queste persone, realizzare un cambiamento sociale e culturale perché si giunga alla piena accoglienza e al rispetto dei diritti di tutti sarà storicamente un lungo percorso, di fatto non ancora terminato.

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